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INTERVISTA AL RAGNO DI LECCO DAVIDE SPINI

Cristina Speziale
22/3/2011

DA PROMESSA DELLO SKI ALP AD ASPIRANTE GUIDA ALPINA & NEW ENTRY NEI RAGNI DI LECCO

Abbiamo intervisto per voi il ventottenne atleta/alpinista valtellinese che ha deciso di fare della propria passione per la montagna una vera e propria professione....

Un tempo conosciuto ed apprezzato per il suo talento nella corsa in montagna e nello skialp, specialità che lo hanno visto vestire in più di un'occasione la divisa azzurra, ora Davide Spini è un alpinista apprezzato che, superati brillantemente i corsi guida, ha fatto di recente il proprio ingresso nei Ragni di Lecco

Davide, sei appena tornato dalla Patagonia, dove eri impegnato in una spedizione con il Gruppo di Alta Montagna dell'Esercito. Gli obiettivi erano scalare il Cerro Torre e il Fitz Roy prima, l'Aconcagua poi. Solo la seconda parte è pienamente riuscita. Ci vuoi raccontare com'è stata questa esperienza?

«La Patagonia è un luogo fantastico: ha degli spazi infiniti, ritmi di vita per noi incomprensibili e montagne stupende, uniche nel mondo, purtroppo però il meteo è instabile e la zona è battuta da forti venti che spesso impediscono di scalare anche quando il cielo è sgombero dalle nuvole. Per aver successo in queste terre, o "tener exito" come dicono i local, bisogna saper sfruttare al meglio le brevi finestre di bel tempo: la velocità e la determinazione sono doti fondamentali per riuscire a scalare qualcosa. Durante la nostra permanenza in Patagonia abbiamo avuto qualche giornata di bello, ma non sufficiente per scalare le pareti che ci eravamo prefissati».

Com'è stato vedere il Nuovo Continente "dall'alto in basso"?

«A dire il vero, vedere il mondo dal tetto d'America non mi ha dato grandi soddisfazioni o particolari emozioni. La salita dalla via normale è un "trekking in quota" (con tutti i problemi e pericoli oggettivi che la quota comporta), ma niente più. Il "sistema Aconcagua" è un pò complesso da spiegare, ma il turismo/alpinismo che gira attorno a questa vetta può essere paragonato (con le dovute proporzioni) a quello che gira attorno alle vie normali degli ottomila. La mia salita all'Aconcagua la considero una bella esperienza, soprattutto umana, che mi ha fatto confrontare ( o fare i conti) per la prima volta con la carenza di ossigeno, ma alpinisticamente irrilevante. Con questa risposta non voglio sminuire chi sogna di salirla o chi l'ha salita...è solo che ognuno ha solo le proprie passioni, i propri mezzi e le proprie ambizioni».

Come ti sei preparato per questa avventura?

«Visto che passo in montagna gran parte del mio tempo ho sempre un buon livello tecnico e una condizione fisica discreta, quindi non ha fatto particolari allenamenti. Più che la preparazione, molto spesso è la mente a far la differenza. In certi momenti,infatti, solo grazie alla forza di volontà si riescono superare passaggi che apparentemente sembrano troppo difficili ed a portare a termine le salite quando sembra di esser giunti a un punto morto».

Qual è la tua giornata "tipo" quando non sei in giro per il mondo? Ovvero, cosa fa normalmente un membro del Gruppo Militare di Alta Montagna?

«La giornata tipo per noi del G.M.A.M. non esiste. Avendo la fortuna di poter spaziare dall'arrampicata, all'alpinismo, all'arrampicata su ghiaccio ed a quella sportiva ogni giornata è diversa dall'altra. Se non ci sono impegni "militari" adeguiamo le nostre giornate alla stagione ed alle condizioni meteo. In generale possiamo dire che in caserma ci passiamo il tempo per dormire o poco più: la nostra attività è all'aria aperta».

Si può dire che tu vivi la montagna a 360°: sci alpinismo, corsa in montagna, skyrunning, arrampicata, alpinismo, bouldering e cascate di ghiaccio. Esaminiamoli uno alla volta e per ognuno racconta come li ha vissuti e cosa hai fatto...

«La corsa è stata il primo sport che mi ha coinvolto completamente, che mi ha fatto sognare e che ha formato il mio carattere. La mia autostima e le mie ambizioni crescevano di pari passo coi risultati e con esse la voglia di soffrire in allenamento. L'atletica però mi stava allontanando da ciò che era il mio primo, vero e disinteressato amore: lo scialpinismo. E' stato quindi normale, appena sono nate le prime gare giovanili di questo fantastico sport, lasciare le corse campestri per buttarmi nell'entusiasmante mondo delle competizioni di ski alp. Dai 16 ai 20 anni, quasi tutti i weekend da gennaio a marzo, io ed un chiassoso gruppo di amici, lasciavamo la Valtellina per seguire le tappe dei circuiti internazionali. Gareggiare in Francia, Svizzera e Spagna era semplicemente il massimo che potessi desiderare, mentre alzarsi a studiare il lunedì mattina alle 6:00 era un incubo, ma rappresentava anche l'unico modo per convincere i miei genitori a finanziare i miei weekend sulla neve. Entrare nel C.S. Esercito ha cambiato la mia vita e i miei progetti per il futuro. Da una parte essere un "PRO" dello ski alp mi ha tolto la spensieratezza e la gioia di correre che forse erano il segreto dei miei risultati, dall'altra mi ha dato la possibilità di essere economicamente indipendente, di terminare l'università e di potermi dedicare assiduamente al "gioco" dell'arrampicata su roccia. Da lì il passo verso l'alpinismo è stato breve e una volta raggiunto un buon feeling anche con il ghiaccio non mi restava che chiudere il cerchio. Così nel 2009 ho iniziato i corsi di formazione per Aspirante Guida Alpina, per concluderli lo scorso ottobre».

Tre aggettivi per definire il tuo rapporto con la montagna...

«Profondo, a volte romantico, altre volte conflittuale. Molto simile a qualche canzone rock degli anni Ottanta».

Nel tuo futuro c'è solo la montagna o c'è spazio per qualcos'altro?

«Mi piacerebbe molto viaggiare senza l'ossessione dell'arrampicata! Vedere il mondo e incontrare nuove culture è una cosa che mi affascina molto. Infatti approfitto sempre dei tempi morti dei miei "climbing trip" per cercare di entrare a contatto con le realtà locali. Il mondo è grande e spero di poter continuare a girarlo come ho fatto quest'ultimo anno. La montagna in alcune occasioni mi ha fatto dimenticare tutto il resto, ma ora penso di aver trovato una specie di equilibrio».

Che tipo di arrampicatore sei?

«Uno che vorrebbe aver più tempo per far tutto! Mi piace ogni forma di andare in montagna e mi adatto alla stagione, all'umore e alla situazione. I miei sogni vanno dal boulder alto tre metri, a una verticale parete di mille, dalle mostruose cascate di ghiaccio canadesi, alle strepitose discese in powder col telemark, alle gite di scialpinismo sulle mie Orobie. L'unica cosa che non mi attrae sono gli 8000. Non trovo niente di divertente e di entusiasmante nel trascinarsi sulle affollate vie normali, né possiedo capacità ed esperienza sufficienti per aprire via nuova su un 8000: quindi è un mondo che per ora non mi riguarda».

In alcune foto durante l'apertura della via "Atlante perverso" in Marocco ho visto che avete utilizzato anche il trapano. Non è questo un modo un po' troppo artificiale e forzato di arrampicare? Forse è una questione annosa, come quella delle ferrate sulle Dolomiti...

«Molto spesso gli arrampicatori si perdono in interminabili discussioni riguardo all'uso di trapano, spit, chiodi o protezioni veloci. Ogni tanto sarebbe meglio star zitti. Personalmente nelle mie salite cerco sempre di tenere una certa etica, senza essere troppo estremista. L'uso del trapano a volte è insensato, ma se usato bene può essere il mezzo per aprire itinerari impegnativi e di notevole impegno psicologico, senza comunque svilire la parete e l'avventura. Credo che sia importante rispettare l'ambiente, le tradizioni del posto e le vie aperte da chi è passato prima di noi. Una ferrata costruita nel posto giusto e con una certa logica crea opportunità di svago, lavoro e un turismo ecosostenibile, inoltre deturpa meno il paesaggio di un qualsiasi impianto da sci».

Il 2010 è stato sicuramente un anno importante per te: il corso di Guida Alpina, l'ingresso nel prestigioso gruppo dei Ragni di Lecco, l'apertura di una nuova via in Marocco, la spedizione in Patagonia. Ho dimenticato qualcosa?

«Effettivamente è stato un anno significativo, in cui ho portato a conclusione molti dei miei progetti. Però più che un traguardo lo vedo come una tappa intermedia, un punto da cui ripartire con maggiore esperienza e consapevolezza».

Obiettivi per il futuro?

«Tantissimi, ma non solo arrampicatori! In questo momento sto aspettando il congedo dall'Esercito ed ho molti progetti, legati soprattutto alla mia futura professione di Guida Alpina. Mi piacerebbe tanto riuscire a lavorare con i giovani e a portare un po' di cultura alpina in questa Valtellina che maltratta, dimentica e sottovaluta le potenzialità delle proprie montagne. Gli amministratori locali, troppo occupati a curare i propri interessi elettorali, non capiscono il valore delle bellezze naturali che ci circondano, non le tutelano e dimenticano il ruolo sociale dello sport, che evidentemente non è solo il calcio. Visto che c'è ancora spazio, anche se non c'entra niente, ne approfitto per ringraziare Giovanni Ruffoni, Giuliano Corti e Adriano Greco, che rimangono un esempio per quello che hanno fatto e continuano a fare con i ragazzi».