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ARRIVEDERCI LHOTSE.. MARCO CONFORTOLA DOMANI IN ITALIA

Maurizio Torri
23/5/2010

Tornerà domani mattina, direttamente dal Nepal, l’alpinista di Valfurva Marco Confortola. Partito lo scorso 8 aprile alla volta del Lhotse, lo scorso fine settimana ha interrotto la propria ascesa verso la vetta in seguito ad un principio di congelamento ai piedi. Piedi già amputati dopo la tragica esperienza al K2. Durante la sua discesa verso Katmandu lo abbiamo raggiunto telefonicamente ed intervistato per conoscere i suo stato d’animo…

«Avrei potuto anche andare in vetta, ma a che prezzo? Io sono guida alpina, maestro di sci e soccorritore di elisoccorso ancor prima che alpinista. Ho fatto quattro conti e ho preferito girare i tacchi. Di subire un altro intervento non ci penso nemmeno. Ora me torno a casa con la consapevolezza che il Lhotse è ancora lì e potrò provare a salirlo un’altra volta; magari sperando in condizioni migliori».

Ma andiamo per ordine. Come è maturata la scelta di fare dietro front?

«Ero bene acclimatato e decisamente in forma. Basti dire che i ritmi di percorrenza erano quelli tenuti nel 2008 quando salivo con Mondinelli al Colle Sud. Dopo essere salito dal campo 2 al campo 4 ed avere montato la tenda, mi sono però accorto che i piedi erano completamente gelati. Li ho massaggiati a lungo, ma anche il pediluvio non ha dato l’esito sperato. Fossi andato in cima avrei seriamente rischiato un altro congelamento. In queste cose sono molto calcolatore; ho preferito non correre rischi inutili».

Il Lhotse non era semplicemente il tuo 7° ottomila, ma anche una sfida con te stesso e in un certo senso una risposta sul campo a chi ti dava per finito:

«In quei momenti tutto passa in secondo piano. Nel corso degli anni ho imparato a fregarmene delle critiche e degli attacchi gratuiti, trovando altrove le motivazioni per andare avanti. Avrei sicuramente preferito arrivare in cima; questa spedizione l’avevo desiderata da tempo e l’avevo preparata con grossi sacrifici, ma anche a distanza di giorni sono sempre più convinto che quella che ho preso sia la scelta giusta».

Al di là di questo insuccesso Marco Confortola potrà quindi tornare ad essere un “cacciatore di 8000”?

«Penso proprio di si. Diciamo che questo al Lhotse è stato una sorta di crash-test che, per certi versi, ha dato responsi positivi. Dovrò sicuramente apportare delle modifiche ai miei scarponi in modo da aiutare i piedi in caso di bassissime temperature, ma per il resto tutto ok. Anche in passaggi tecnici con ramponi calzati non ho avuto nessun problema. Tornato in Italia farò un po’ di pedana vibrante per aiutare la circolazione e lavorerò subito su queste modifiche tecniche».

Già che siamo in argomento, quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

«Per il momento non ho nulla di definito. Vorrei solo sfruttare l’acclimatamento e tutto il lavoro fatto in quota facendo qualcosa sulle nostre montagne… Ma non ho un’idea o un progetto preciso. Vedremo; ora voglio solo controllare che i piedi siano a posto, poi si vedrà».

C’era molta attesa per questa spedizione; una spedizione che, in stile Confortola, stata caratterizzata da un puntuale riscontro mediatico. Tu che primo feedback ne hai avuto?

«Sicuramente positivo. Ogni giorno scrivevo quello che erano i miei pensieri, i mie stati d’animo, le miei gioie e le mie paure. Da casa Veronica Balocco e mio fratello Luigi sono stati grandissimi… Non finirò mai di ringraziarli. Il loro impegno ha permesso a chi mi vuole bene ed è interessato di montagna di essere puntualmente informato». Già, perché di alpinismo e di montagna alla gente interessa anche se non ci sono morti di mezzo: «Quello sicuro. Alla gente piace sapere cosa uno prova lontano da casa e in situazioni limite. Forse è per quello che piaccio alla gente. Non perché io sia forte; in giro vi sono alpinisti ben più forti di Marco Confortola… Il fatto è che io comunico i miei successi e i miei insuccessi senza troppi giri di parole avvicinando alla montagna anche chi abitualmente non ci va».

Ad intervista conclusa, con la voce intervallata dalla solita tosse che affligge gli alpinisti d’alta quota, Marco si è così congedato: «Se hai due righe, fai i miei più sinceri complimenti per il successo della spedizione di Compagnoni e Panzeri. Sono davvero contento per loro: sono due grandi».