Categoria: 

ADDIO VERA...

Maurizio Torri
24/2/2010

La “Signora del Masino” è tornata lassù, tra le amate cime ai confini del cielo. Alcuni, se la ricordano ancora, con la radio in mano mentre dialogava con Dino Salis che le dava il cambio dalla Val Bregaglia, o intenta ad accogliere amici alpinisti come Cassin, Bonatti, Corti e i fratelli Rusconi. Tutta gente che nel suo albergo era di casa

Già, perché la Valmasino Vera Cenini ce l’aveva nel cuore e anche se provata dagli acciacchi e dal peso degli anni, ogni giorno era solita uscire dalla sua elegante casa morbegnese, per scorgere tra i palazzi il tramonto sul Disgrazia: «Il mio cuore è lassù – mi disse un giorno -. E ora, che per vari motivi il passo è divenuto lento e insicuro, mi basta alzare gli occhi verso una vetta per gioire. Perché chi ha la montagna nel cuore, è uno spirito libero». Basterebbero queste poche parole per capire la caratura del personaggio, un personaggio schivo che ha sempre preferito agire piuttosto che apparire. Ricordo ancora quando le chiesi un’intervista. Le sue prime parole furono: «I riflettori non mi piacciono molto e se per questo nemmeno i giornalisti. Non mi fraintenda, in verità stimo quelli che scrivono il vero. La mia diffidenza nasce da una brutta esperienza con la carta stampata. Avrei già pronti alcuni appunti dai quali potrebbe scrivere l’articolo, ma voglio darle fiducia. Quindi partiamo pure con le domande».

Come nacque la sua passione per la Valmasino?
«Non poteva essere altrimenti. I Bagni erano di proprietà di mio nonno e vi fui portata la prima volta che avevo solo 20 giorni. Lì sono praticamente cresciuta. Quando è morto lo zio materno, ho preso in mano provvisoriamente l’albergo per poi gestirlo dal 1956 al 1991».

Da gestore dell’albergo a promotrice della prima stazione del soccorso alpino in Valmasino sembra proprio un bel passo. Come le nacque questa idea?
«I fattori scatenati che hanno portato ad impegnarmi in prima persona in questo progetto sono sostanzialmente due. Nel luglio del 1937, in occasione della prima ascensione sulla Nord del Badile, ero presente quando la comitiva di alpinisti ha riportato a valle le salme di Valsecchi e Molteni. Allora tredicenne, rimasi profondamente colpita da quella disgrazia in quota. Un’altra spinta in questa direzione la ebbi il 22 agosto del 46 quando restai a mia volta vittima di un incidente in montagna».

Chi la coadiuvò in questa non facile impresa?
«Ho sempre avuto validi collaboratori. Inizialmente mi sono affiancata a Virgilio Fiorelli, poi al figlio Attilio. Facendo delle lotterie con gli ospiti dell’albergo avevo acquistato delle radio trasmittenti. Alla fine avevo un apparecchio io, e uno i gestori dei vari rifugi della valle. Ero sempre in contatto anche con Dino Salis che da Bondo controllava il fronte svizzero del Badile. E tu guarda il caso, il punto di miglior ricezione era proprio quello dove nel ’37 avevo visto sfilare Cassin e gli altri».

Nel corso degli anni ha avuto modo di conoscere grandi alpinisti e vivere in prima persona tante situazioni di pericolo. Che consigli si sente di dare ai giovani che si avvicinano alla montagna e all’alpinismo?
«Non mi piace l’attuale moda di effettuare l’avvicinamento alle vie in elicottero, come non mi piace chi sta sempre in falesia senza mai provare a mettere in pratica sulle montagne vere ciò che ha imparato. Ai giovani vorrei dire di vivere la montagna in prima persona con rispetto e soprattutto con la testa sulle spalle. Bisogna essere consci dei propri limiti. Attualmente vi sono i mezzi per avere informazioni meteo precise. Se non vi sono le condizioni ottimali un’uscita si può anche rimandare. La montagna sarà lì anche domani. Un’altra cosa: non tutti possono essere Messner o Cassin. Per vivere la montagna si può anche solo passeggiare senza fare cose estreme».